Jamendo

Intervista ai Big Trivella

Pubblicato da FutuRadio Web giovedì 4 marzo 2010 , , , , ,

Si definiscono “tre ragazzi qualsiasi che si uniscono e iniziano a provare in un seminterrato”. All'inizio propongono per lo più cover. Poi, un bel giorno, decidono di diventare grandi e di darci dentro. Così Giovanni (“voce, chitarra, colpi di tosse, corde vocali degradate”), Antonio (“basso, bocca aperta”), Gregorio (“batteria, schiamazzi”) formano a Cesena, nella primavera del 2008, i Big Trivella (http://www.myspace.com/bigtrivella), gruppo che, come loro stessi raccontano a FutuRadio Web, presenta “sin da subito una chiara impronta grunge”. È bastato poco per trovare il coraggio di uscire allo scoperto. Già “al secondo pomeriggio di prove – ricordano – alcuni nostri compagni di classe vennero a sentirci e ci incoraggiarono. Nei primi mesi puntavamo tutto sulle cover, eravamo molto compatibili con gruppi come Nirvana, Alice in Chains, Pearl Jam, diventammo una 'realtà da pogo' locale. Ad un certo punto ci fu una svolta e verso la fine del 2008 presentammo il nostro primo brano di sempre, Bury Me, che poi sarebbe finito sul primo EP. Sembrava un piccolo capolavoro. Nascono altre idee e da esse altre canzoni, partendo da qualche input di Giovanni che poi portava in sala prove i riff per essere modellati nella migliore forma possibile”. Siamo ancora nel 2009, più precisamente a novembre, e i Big Trivella decidono di entrare in studio per registrare il loro primo EP, Dull Roots (ascoltabile da qui). “Considerando che in nove ore e mezzo abbiamo completato cinque canzoni, potevamo ritenerci soddisfatti”, dicono. I Big Trivella vanno fieri della loro “creatura”: “Dull Roots è stato apprezzato da quasi tutte le persone che l’hanno ascoltato. Abbiamo da poco ricevuto una recensione dalla webzine Sound and Vision molto positiva (8/10). Il nostro è un genere che si riallaccia a una tradizione rock che ha rivoluzionato gli anni ’90 e viene considerato molto meglio di tante schifezze che i piss media ci fanno ingoiare oggi”.

Perché pubblicare sotto licenze creative commons?

Le licenze creative commons hanno il pregio di essere totalmente gratuite, e non è poco per un gruppo emergente che si deve totalmente autofinanziare, risparmiandosi i costi dell’iscrizione annuale alla S.I.A.E., la quale piuttosto che promuovere e tutelare i lavori dei gruppi punta principalmente al guadagno, con tariffe talvolta esagerate. In più hanno meno restrizioni riguardo alla circolazione del prodotto e ciò ha favorito la nostra scelta.

Credete nei lavori pubblicati in copyleft?

Non ci piace il fatto che una persona possa copiare o modificare il lavoro eseguito da un altro e distribuirlo sotto proprio nome, siamo disposti a sopportarlo se questo coincide con un raggio di distribuzione maggiore del nostro prodotto. Il nostro obiettivo è far conoscere al maggior numero di persone la nostra musica, ma allo stesso tempo vedere riconosciuta la paternità dell’opera.

La vostra è sicuramente una musica impegnata, non completamente adatta a un pubblico generico o a un pubblico che tendenzialmente ascolta musica in modo superficiale. Quali possono essere, a vostro avviso, i migliori canali di distribuzione per ottenere un riscontro positivo?

In Italia esistono pochi spazi di manovra per gruppi che suonano un genere particolare. Se non ti sei già fatto un nome all’estero o se non ti presti a determinate richieste “commerciali” difficilmente troverai persone disposte a investire sul tuo lavoro. I canali più appropriati per noi possono essere i rock club e tutti quei circuiti indipendenti che ti permettono di accrescere piano piano la tua popolarità. Preferiamo un pubblico di nicchia, ma ben addestrato che una mandria di “pecoroni” che subiscono l’inondazione di falsi talenti proveniente dalle reti televisive e dalle “grandi” (si fa per dire) major discografiche. Nel nostro paese è mancata una capacità di interpretazione di molte realtà che non sono mai emerse. Vi faccio un esempio: i Blastema, gruppo rock alternativo di Forlì, suonano da 11 anni e hanno un talento indiscutibile, ma ancora non hanno un contratto discografico. Un paio di settimane fa abbiamo visto la grande ennesima bufala di Sanremo, con canzoni che riteniamo deprimenti e ripetitive. Per quale motivo dobbiamo subire questa “condanna”? Perché in Italia non può fiorire una cultura differente e alternativa anche negli spazi occupati dai mass media? Perché negli Stati Uniti c’è uno show come il David Letterman, mentre io se accendo la tv mi posso guardare al massimo Gigi D’Alessio e Orietta Berti (con tutto il rispetto per la sua barca, ma ormai si sarà rotta pure lei le scatole di remare) a Domenica In?

Quale è stata, finora, la soddisfazione più grande che siete riusciti a togliervi?

Un gruppo qualsiasi avrebbe pensato alla vittoria di qualche concorso musicale cercando di rispondere a questa domanda. Per noi vale una questione differente. Anche noi abbiamo vinto due concorsi, ma quello che ci rende felici è un’altra cosa. La nostra più grande soddisfazione è stata costruirsi un pubblico che di volta in volta ha saputo apprezzare il nostro suono, le nostre composizioni, è stata vedere arrivare ragazzi con la vespa ai nostri concerti, è stata trovare persone che condividono le nostre idee e che danno libero sfogo al proprio fermento quando iniziamo a suonare. Allo stesso modo spesso, ascoltando il lavoro appena registrato in studio, ripensiamo ai primi tempi e capiamo di essere maturati su differenti piani. La musica che suoniamo e che originiamo ci piace davvero e anche questa può essere ritenuta una grande soddisfazione: sentire di aver costruito qualcosa di veramente piacevole.

Nel vostro Ep passate dalla potentissima Womb With a View alla più melodica e riflessiva Layline. Anche gli altri pezzi alternano fasi più acute ad altre più sobrie. Quale è il genere musicale in cui più vi riconoscete?

I generi musicali più vicino alle nostre sonorità e che ci hanno maggiormente influenzati sono sicuramente il grunge (in tutte le sue componenti) e il noise. Questo lo si nota nelle frequenti distorsioni utilizzate e nei passaggi più “arrabbiati” delle canzoni. Tuttavia ascoltiamo tantissima musica e magari ci piace lavorare in una differente maniera per ciascun brano. Se prendi ad esempio G.E.G., la strofa è quasi paranoica, opprimente, ha un ritmo 5/4 in una certa misura stressante, poi arriva la “liberazione” nel chorus, il brano acquista un’altra atmosfera e il finale è addirittura un giro di chitarra pulita molto rilassante. I’m Insane è una canzone più sarcastica, ironica, all’inizio quasi stupida, poi diventa un urlo agonizzante. Più equilibrate risultano le altre canzoni, nel senso che hanno una linea ben definita subito dalle prime note, Bury Me è molto lineare, ha la struttura della classica canzone, Womb With a View è incalzante e mantiene la sua aggressività fino all’ultimo colpo, Layline è più riflessiva perché più calma, quieta. Crediamo di aver mischiato parecchie carte all’interno di Dull Roots e che il tutto suoni molto bene. Non è un nuovo genere, ma è buona musica e ciò è un fondamentale punto di partenza.

E quando non suonate, che musica ascoltate?

Non vi spaventate per gli accostamenti ma vado a random: tutto il grunge nelle sue molteplici declinazioni (Nirvana, Alice in Chains, Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney, Screaming Trees, Mad Season) più Sonic Youth, Dinosaur Jr, Marlene Kuntz, Verdena, Jeff Buckley, Kyuss, QOTSA, Radiohead, Joy Division, Doors e per calmarsi Ludovico Einaudi, Portishead e Sigur Ros.

Il vostro primo EP è stato da poco pubblicato... e ora cosa avete in mente per il futuro?

Vogliamo suonare dal vivo con costanza, guadagnarci un seguito di pubblico sempre maggiore facendo leva sull’unica cosa che ci riesce bene: la musica. Tutta la speculazione retrostante che ne ha danneggiato l’integrità non ci interessa. Speriamo di continuare in questa direzione che sembra premiare alla lunga distanza il nostro lavoro nei sotterranei sconosciuti del nostro minuscolo paese d'origine.


I Big Trivella sono in rotazione su FutuRadio Web


F. G.
04/03/10


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